Omotossicologia

L’omotossicologia prende le mosse dall’omeopatia. Essa nacque più di 50 anni fa per opera di Hans Heinrich Reckeweg (Herford, 1905 – Zurigo, 1985). Egli elaborò un corpus dottrinale conosciuto con il nome di Omotossicologia o Omeopatia Anti-Omotossica, formulando la composizione di farmaci omeopatici complessi in diluizione decimale e introducendo nella farmacopea omeopatica nuove sostanze (nuovi ceppi di nosodi, organoderivati di suino, catalizzatori del Ciclo di Krebs, chinoni).
L’omotossicologia, pur affondando le sue radici nell’omeopatia, afferma di volgere lo sguardo alla moderna fisiopatologia e a questa afferma di rifarsi in sede di diagnosi, avvalendosi in sede di terapia di sostanze preparate secondo i canoni della farmacopea omeopatica e della sperimentazione patogenetica.

L’impostazione omotossicologica rifiuta ogni forma di quello che definisce integralismo terapeutico per cercare un punto di contatto tra le basi teoriche dell’omeopatia hahnemanniana, il rigore clinico e la validazione scientifica peculiari della medicina convenzionale attuale.

Il contributo portato da Reckeweg all’evoluzione del pensiero medico omeopatico è consistito nell’essersi impegnato nella ricerca per fornire una base scientifica e sperimentale ai fondamenti dell’omeopatia.

L’omotossicologia ha portato a un ampliamento della farmacologia omeopatica e la disponibilità di nuovi rimedi, a integrazione sinergica e complementare della farmacopea omeopatica. Reckeweg introduce la cosiddetta Tavola delle Omotossicosi, un quadro sinottico delle patologie in cui ogni alterazione di organi o di sistemi è messa in correlazione con quella che in omeopatia viene chiamata la forza vitale del paziente (da Reckeweg identificata con il potenziale reattivo del soggetto). Tramite l’inquadramento della patologia in tale tavola si afferma che sia possibile definire lo status praesens del paziente e, attraverso gli opportuni farmaci omeopatici-omotossicologici, formulare una proposta terapeutica individuale (in ossequio a uno dei cardini dell’Omeopatia hahnemanniana: l’individualità).

L’omotossicologia avrebbe consentito l’avviamento di un filone di ricerca che, facendo riferimento in particolare alla biochimica, all’immunologia e alla biologia molecolare potesse sostenere il confronto come medicina basata sull’evidenza scientifica. Tuttavia, questi filoni di ricerca volti alla validazione scientifica dei principi fondatori dell’omeopatia, cioè la similitudine e le dosi infinitesimali, non hanno trovato il suffragio sperimentale cercato.

Principi dell’Omotossicologia

La premessa da cui parte l’omotossicologia è che qualunque organismo è continuamente attraversato da un’enorme quantità di sostanze di provenienza esogena (batteri, virus, tossine alimentari, fattori di inquinamento ambientale, ecc.) ed endogena (prodotti intermedi dei diversi metabolismi, cataboliti finali, ecc.) che possono avere valenza patogenica.
In accordo alla teoria di von Bertanlanffy, secondo cui l’organismo sarebbe un sistema di flusso in equilibrio dinamico, se l’omotossina non è particolarmente “virulenta” e se i sistemi emuntoriali sono efficienti, essa attraverserebbe l’organismo-sistema di flusso senza determinare alcuna interferenza nella sua omeostasi, che resterà pertanto nella condizione di equilibrio, cioè di salute. Se viceversa, o perché la tossina è particolarmente “aggressiva” o perché i sistemi emuntoriali non sono sufficienti, si determina un’alterazione dell’equilibrio, che l’organismo, nella sua naturale tendenza verso il mantenimento o il ripristino della sua “omeostasi ristretta” (Laborit), cerca di compensare innescando meccanismi supplementari di tipo autodifensivo: le malattie.

Secondo l’omotossicologia la malattia è da interpretare come la risultante che scaturisce dall’interazione tra noxa patogena, fattori ambientali e soprattutto reattività: le malattie sarebbero l’espressione della lotta dell’organismo contro le tossine, al fine di neutralizzarle ed espellerle, ovvero sarebbero l’espressione della lotta che l’organismo compie per compensare i danni provocati irreversibilmente dalle tossine. A seconda dell’entità dell’aggressione e dell’integrità del sistema difensivo autologo (che Reckeweg chiama Sistema della Grande Difesa), l’organismo manifesterebbe quadri clinici differenti che si possono classificare in 6 fasi. Nella sua Tavola delle Omotossicosi (quadro sinottico che classifica le diverse patologie), Reckeweg rappresenta i vari gradi di reattività attraverso i quali l’organismo cerca di mantenere o ripristinare la sua omeostasi, il suo equilibrio, il suo stato di salute. Ogni fase rappresenterebbe l’espressione delle diverse capacità reattive (infiammatorie) dell’organismo, l’espressione di altrettanti tipi di equilibri di flusso raggiunti dall’organismo per conservare la propria omeostasi ristretta. Si distinguono 2 fasi umorali, 2 fasi della sostanza fondamentale e 2 fasi cellulari.

Le Fasi Umorali rappresentano situazioni patologiche in cui la prognosi è favorevole, in quanto espressioni di una buona reattività. Si distinguono:
– la fase di escrezione: le tossine non arrivano neanche in contatto con le cellule epiteliali delle mucose, ma vengono inglobate ed espulse con le secrezioni fisiologiche;
– la fase di reazione (o di infiammazione): grazie al processo dell’infiammazione, l’organismo neutralizza prima, ed espelle poi, le tossine entrate nel sistema di flusso.

Le Fasi della Sostanza Fondamentale rappresentano situazioni patologiche in cui il carico omotossinico è localizzato prima a livello della matrice e poi a livello cellulare. Si distinguono:
– la fase di deposito: in questo stadio di malattia l’organismo, nell’intento di mantenere inalterato il suo equilibrio, accantona a livello connettivale quelle tossine che gli emuntori non sono riusciti a espellere, e che la successiva compensatoria fase di reazione non è riuscita a neutralizzare;
– la fase di impregnazione: a partire da questa fase le tossine sono localizzabili non più a livello del mesenchima ma del parenchima; infatti esse vengono canalizzate a livello organico verso un “locus minoris resistentiae” espressione di una meiopragia costituzionale o iatrogenica. Inglobate a questo livello, in parenchimi nobili, iniziano a destrutturare la cellula attaccando per primi i suoi meccanismi enzimatici.

Le Fasi Cellulari rappresentano situazioni patologiche in cui la prognosi non è più favorevole, in quanto espressioni della scarsa reattività tipica di una alterazione lesionale. Si distinguono:
– la fase di degenerazione: il perdurare dell’accumulo di tossine di impregnazione determina, dopo il parziale blocco enzimatico, il danno dell’organulo intracellulare, e la conseguente degenerazione dei tessuti;
– la fase di dedifferenziazione: la stimolazione infiammatoria cronica della cellula può determinare la sua sdifferenziazione in cellule anomale che, anche per il contemporaneo indebolimento-sovvertimento delle difese organiche, possono prendere il sopravvento sull’intero organismo.

Partendo da queste considerazioni, H.H. Reckeweg descrisse il fenomeno della cosiddetta vicariazione, cioè lo spostamento della malattia da un tessuto all’altro, da un organo all’altro. La vicariazione può avere una prognosi positiva (in questo caso è detta “regressiva” e corrisponde al processo di guarigione naturale) o, viceversa, negativa (in questo caso è detta “progressiva” e coincide, per esempio, con il processo di cronicizzazione).
La terapia omotossicologica si pone come obiettivo l’innesco della vicariazione regressiva, biologicamente favorevole e caratterizzata dalla riattivazione delle funzioni disintossicanti, dalla tendenza all’escrezione delle omotossine e dalla comparsa di recidive di fasi precedenti.

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