Mascherine Ffp2 CE 2163. Ente certificatore respinge accuse: sono a norma

L’ente di certificazione chiamato in causa per le mascherine Ffp2 non conformi respinge le accuse: “le mascherine certificate 2163 sono a norma”

L’ente di certificazione turco chiamato in causa per la certificazione delle mascherine Ffp2 non conformi respinge le accuse: le mascherine certificate 2163 “sono a norma” e “l’intero processo di certificazione è gestito in conformità con il sistema di marcatura Ce stabilito nell’ambito della Unione europea”. È la replica ufficiale di Universal Certification, ente certificatore di dispositivi di protezione individuale, con un comunicato stampa alle notizie apparse nei giorni scorsi sui media italiani.

Metodi di certificazione secondo normative

Nella nota stampa spiega che “come tutti gli Enti certificatori, Universal Certification esegue esami iniziali sul modello di mascherina e in seguito conduce controlli a campione sulla produzione in serie, per verificare che la qualità del prodotto sia omogenea con quella verificata nei test. Non è possibile per nessun Ente certificatore verificare ogni singola mascherina prodotta sulla base del tipo certificato”.

Inoltre, smentisce che i tempi di esame e approvazione “siano più rapidi rispetto alla media”. L’azienda chiarisce che “i certificati 2163 vengono emessi rispettando rigorosamente il Regolamento (EU) 2016/425 per i Dpi e tutti i campioni devono superare i test secondo lo standard EN 149. Tutte le fabbriche sono soggette ad audit in loco e il tempo medio di certificazione di Universal Certification varia da due a 3 mesi, che è di fatto meno rapido rispetto ad altri Enti certificatori. I certificati di Universal Certification possono essere verificati scansionando il QR-Code annesso”.

Conformità mascherine: responsabilità è del produttore

Rispetto alla conformità delle mascherine prodotte in serie, prosegue la nota “la responsabilità spetta al produttore, come stabilito dalla Dichiarazione di Conformità Ue firmata dai produttori stessi, mentre il monitoraggio sulla qualità dei prodotti presenti sul mercato è responsabilità delle Autorità di supervisione dei mercati di ciascuno stato Ue. Quest’ultimo viene eseguito in sede doganale o tramite controlli a campione sui punti vendita”. «In tutta la Ue è in vigore in una precisa procedura ufficiale per informare il pubblico quando viene individuato sul mercato un prodotto non conforme – spiega Osman Camci, Director di Universal Certification -, procedura che non sembra essere stata seguita nel caso in oggetto. Al contrario, le notizie riportate nei giornali e riprese dai media fanno riferimento a test non meglio specificati che sembrano essere stati promossi da un’azienda commerciale, e in ordine a quali non sono note le modalità di esecuzione e le procedure seguite, che la Universal Certification ha richiesto di conoscere, ma che non sono state rese disponibili. Le verifiche sulle mascherine citate come fonte in queste notizie non possono pertanto essere considerate valide rispetto alle procedure standard di valutazione della conformità».

Tale procedura non ufficiale e non imparziale ha portato ad affermazioni generiche sulla qualità di uno specifico marchio CE, il 2163, che certifica mascherine prodotte non solo in Cina, ma anche in Turchia, Italia, Germania e altri Paesi Ue, le cui asserzioni prive di fondamento possono mettere a rischio la disponibilità di Dpi in Italia e in tutta l’Unione europea in un momento di grande necessità. Nello specifico della Cina, va anche sottolineato che esistono numerosi Enti certificatori i quali emettono certificati CE per mascherine prodotte nel Paese. La Cina può contare su 87 laboratori accreditati 87 ISO/IEC 17025, che eseguono test EN 149 con attrezzature affidabili e con un’esperienza di lunga data. La maggioranza degli Enti Certificatori che emettono certificati per produttori cinesi esegue i test in Cina, in questi laboratori ISO 17025. «Abbiamo già contattato ufficialmente l’azienda che ha promosso le valutazioni per richiederne contenuti e verificarne le basi legali che, allo stato, non ci ha fornito alcuna evidenza» conclude Camci.

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