Rimedi omeopatici

I principi e le origini dell’omeopatia

I principi dell’omeopatia sono contenuti nelle opere di Samuel Hahnemann (1755-1843) e in particolare nell’Organon, il suo testo teorico principale edito nel 1810.

Studiando La Materia Medica di William Cullen, notò i risultati dei test con la cinchona (Cinchona succirubra, fonte del chinino), uno dei pochissimi rimedi allora riconosciuti come efficaci su una malattia specifica (le febbri intermittenti e la malaria).

Non contento della spiegazione di Cullen per questa azione specifica, Hahnemann assunse per varie volte la corteccia della pianta come esperimento e notò che i sintomi elicitati erano gli stessi delle febbri intermittenti, che, inoltre, si susseguivano nello stesso ordine temporale (mani e piedi freddi, stanchezza e sonnolenza, ansia, tremore, prostrazione, mal di testa pulsante, arrossamento delle guance e sete) ma senza il forte innalzamento della temperatura.

L’anno seguente, dopo molte sperimentazioni, Hahnemann offrì la sua spiegazione: «La cinchona sopraffà e sopprime le febbri intermittenti principalmente eccitando una febbre di breve durata, e, se somministrata poco prima dei parossismi, mitiga la febbre intermittente». Altri farmaci sono in grado di produrre una febbre artificiale, ma non così specifica.

A seguito di questa scoperta Hahnemann dichiarò che solo osservando l’azione dei farmaci sull’organismo è possibile usarli in maniera razionale e che tale metodo è l’unico modo per osservare direttamente le azioni specifiche dei rimedi. Egli esprime questo concetto nel suo testo anticipatorio Essay on a new principle for ascertaining the curative power of drugs, dove si individuano i suoi due primi pilastri teorici, ovvero la legge dei simili (similia similibus curantur) e quella dell’utilizzo di dosi infinitesimali dei rimedi.

La legge dei simili esprime il concetto che per curare una malattia il medico deve utilizzare una medicina che sia in grado di produrre una malattia artificiale a essa molto simile, che si sostituisce a essa per poi scomparire. Le dosi da utilizzarsi dovevano essere il minimo indispensabile per produrre un’indicazione percettibile dell’azione del rimedio e nulla più, in modo da minimizzare o annullare gli effetti avversi. Tuttavia è solo qualche anno dopo (1801), nel trattare la scarlattina, che egli iniziò a usare dosi infinitesimali.

Per Hahnemann la causa delle malattie, quando non riconducibile a fattori anatomici o chirurgici né a carenze nutrizionali, sarebbe immateriale, o spirituale e dinamica, e risiederebbe non in cause fisiche esterne al corpo, ma in una perturbazione della “forza vitale” (Lebenskraft). Credere nelle cause materiali delle malattie, secondo Hahnemann, porta a errori o a inefficacia terapeutica.

Nell’opera di Hahnemann il concetto di Lebenskraft (già espresso in termini di Entelechia e Dynamis nella filosofia aristotelica) è fondamentale. La forza vitale anima tutti gli esseri viventi e li rende capaci di sentire, di svolgere una funzione, un’attività e di sostenersi.

Il concetto di Lebenskraft era tutt’altro che poco diffuso nella pratica medica dell’Europa del XIX secolo. Erano diversi e illustri i medici che a esso si riferivano per le loro pratiche farmacologiche, e molti condividevano con Hahnemann la convinzione che la materia morbosa non fosse altro che una conseguenza di cause prime, ma giustificavano l’utilizzo di rimedi deplettivi ed evacuativi perché essi avrebbero imitato e aiutato il normale agire della forza vitale, della vis medicatrix naturae.

Potenza: diluizione e dinamizzazione

La diluizione, concetto fondamentale e sul quale si appuntano le critiche maggiori, viene detta in omeopatia potenza. Le potenze sono in realtà diluizioni 1 a 100 (potenze centesimali o potenze C o anche CH) o diluizioni 1 a 10 (potenze decimali o potenze D o anche DH). In una diluizione C una parte di sostanza viene diluita in 99 parti di diluente e successivamente dinamizzata, ovvero agitata con forza secondo un procedimento chiamato dagli omeopati succussione; in una diluizione D, invece, una parte di sostanza viene diluita in 9 parti di diluente e sottoposta poi alla stessa dinamizzazione.

Ogni sostanza omeopatica pronta per l’impiego riporta il tipo di diluizione e la potenza. Per esempio, in un rimedio con potenza 12C la sostanza originaria è stata diluita per dodici volte, ogni volta 1 a 100, per un totale di una parte su 10012 (=1024).

Una potenza 12D, utilizzata abbastanza comunemente in omeopatia, equivale invece a una soluzione nella quale la concentrazione è una parte su un milione di milioni (1012), che equivale per esempio a un millimetro cubo su mille metri cubi.

Numerosi preparati omeopatici sono diluiti a potenze ancora maggiori, in qualche caso sino a 30C e oltre.

Nella pratica omeopatica le potenze C e D non sono considerate equivalenti, ovvero 1C non è ritenuto equivalente a 2D dal punto di vista terapeutico, sebbene lo sia dal punto di vista della chimica delle soluzioni.

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